Lavoratore autonomo o dipendente? Guida alla scelta
La prima grande decisione da affrontare quando ci si approccia al mondo del lavoro è quella tra il lavoro autonomo e dipendente.
In questo articolo approfondiamo le differenze fra questi due modelli di lavoro, diversi fra loro sotto diversi aspetti: psicologico, remunerazione, orari, rischi.
Sebbene di base la differenza fra lavoro autonomo e dipendente sia noto a tutti, vediamo la definizione che ne dà il legislatore:
• il prestatore di lavoro subordinato è colui che – ai sensi del nostro Codice civile – si obbliga mediante retribuzione a collaborare alle dipendenze e sotto la direzione dell’imprenditore;
• il lavoratore autonomo, a cui si riferisce il contratto d’opera, si impegna – a fronte di un corrispettivo – verso il committente a compiere un’opera o un servizio, ma senza un vincolo di subordinazione e impiegando risorse prevalentemente personali.
La normativa sul rapporto di lavoro dipendente è il frutto di una stratificazione di norme che si sono sovrapposte nel tempo (non senza un po’ di confusione), inglobando fonti esterne al Codice, come lo Statuto dei lavoratori. In buona sostanza, i diritti a cui il dipendente può accedere:
Ovviamente a tali diritti corrispondono una serie di doveri da parte del lavoratore, che consistono essenzialmente nel vincolo di subordinazione e nell’obbligo di diligenza. La violazione di tali obblighi, se grave e reiterata, può portare al licenziamento.
Il lavoro autonomo, è invece un’attività lavorativa caratterizzata (seppure relativamente) da un elevato grado di libertà. Il lavoratore autonomo non ha un vincolo di subordinazione, anche se il committente ha un potere di controllo sull’opera che viene svolta dal lavoratore autonomo.
Si tratta però di un generale potere di controllo e non di un diritto a impartire delle direttive. Inoltre, anche per quanto riguarda gli orari di, l’autonomo è libero di organizzare la propria attività secondo i propri orari.
Per quanto riguarda le tutele poi, il Jobs Act del 2017 ha introdotto delle normative volte a tutelare – seppure in parte – gli aspetti più critici per chi lavora in proprio, ovvero i casi di malattie e infortunio, paternità e maternità.
La categoria del lavoro autonomo prevede, al suo interno, diverse sotto-categorie, tutte caratterizzate dalla presenza di una partita Iva (salvo l’ipotesi della prestazione occasionale). Chi intende assumere la qualifica di lavoratore autonomo può in sostanza scegliere tra:
• La libera professione: con questa definizione si intende il lavoratore che presta un’attività essenzialmente intellettuale, o per cui l’aspetto intellettuale prevale nell’ottenimento della prestazione lavorativa. Si tratta ad esempio di giornalisti, avvocati, consulenti, e così via;
• L’attività imprenditoriale: in questo caso il lavoro svolto predispone un’organizzazione più massiccia di beni strumentali (aspetto in realtà secondario) e tipo di attività volta cioè alla produzione e allo scambio di beni e servizi.
Un altro aspetto critico che deve affrontare colui che si accinge ad iniziare una propria attività è la forma giuridica: parliamo cioè della possibilità di costituire una società. Diversi sono gli aspetti da considerare infatti, tra cui i costi.
Società o azienda individuale? Un dilemma di non poco conto, visto che si tratta di una materia molto tecnica e che va sempre affidata a dei professionisti del settore.
Avviare una partita Iva comporta dei costi molto contenuti. Creare invece una società richiede un investimento più impegnativo, che varia a seconda della forma societaria scelta, se una società di capitali o una società a responsabilità limitata.
In ogni caso occorre rivolgersi a un notaio, sottoscrivere un capitale minimo, aprire una partita Iva e iscriversi al Registro delle imprese (oltre agli albi specifici dell’attività che si svolge), all’INPS e all’INAIL. In buona sostanza si tratta di una procedura abbastanza lunga e costosa.
Ed è proprio questo il motivo per cui l’idea di fondare una società all’estero, soprattutto in Paesi come l’Inghilterra, viene considerata una buona alternativa, anche sotto forma di incorporazione aziendale nel Regno Unito.
I vantaggi derivanti da questo tipo di scelta sono diversi, e riguardano non solo l’aspetto fiscale – indubbiamente più vantaggioso – ma anche quello burocratico e amministrativo. Costituire una società nel Regno Unito in particolare non richiede la presenza di un notaio, può avvenire in via telematica e, in alcuni casi, non richiede nemmeno l’apertura di una partita Iva (VAT, in inglese).
Attenzione però, perché occorre tenere presente il rischio dell’esterovestizione, ovvero lo spostamento fittizio della residenza fiscale di una società al fine di eludere le norme fiscali italiane.
Per approfondire l’argomento consigliamo la sezione del sito OpenFinanza.it relativo alla costituzione di una società in Italia o all’estero.
Il breve excursus che abbiamo ora affrontato ha delineato, a grandi linee, le sostanziali differenze tra l’essere un lavoratore dipendente e un autonomo. Partendo dal presupposto che ogni lavoro nobilita l’uomo, scegliere il percorso professionale più adatto alle nostre esigenze e alla nostra personalità è importante per vivere bene. Diversi sono gli aspetti da prendere in considerazione, vediamo i principali.
Fino a qualche anno fa il lavoro dipendente veniva considerato il simbolo della stabilità. Proprio questa certezza ha fatto propendere spesso verso un percorso per certi aspetti limitante, dal punto di vista dell’intraprendenza e delle possibilità di guadagno.
Visti i mutamenti anche importanti che ci sono stati nel mondo del lavoro e l’introduzione di tipologie contrattuali precarie, oggi è molto più difficile parlare di una maggiore stabilità di un lavoro dipendente rispetto a un’attività autonoma ben organizzata e ben avviata.
Anche su questo aspetto, occorre fare un po’ di chiarezza. Gestire una propria attività comporta il pagamento di tasse anche elevate, soprattutto se la sede è in Italia. Si tratta di una tassazione che è proporzionata ai proventi, in ogni caso.
Ma anche il lavoratore dipendente paga le sue tasse, con la differenza che il datore di lavoro agisce come sostituto d’imposta. Basta analizzare una qualsiasi busta paga per capire quanta parte dello stipendio viene assorbita dagli oneri fiscali.
Questa è forse la prima domanda che occorre porsi. Il lavoro autonomo ha degli obiettivi costanti di crescita, sia a livello professionale che a livello economico. Se la nostra filosofia di vita è rimanere allo status quo dall’inizio della nostra carriera fino alla fine, o puntare agli avanzamenti di carriera, sicuramente non abbiamo il DNA del lavoratore autonomo.
Collegato al punto ora visto è il discorso delle responsabilità lavorative. Essere un lavoratore autonomo comporta lavorare per se stessi e per qualcosa che è stato creato con le proprie mani.
Non esiste un aspetto che non compete o che non è compito del libro professionista o dell’imprenditore; non c’è un collega che se ne deve occupare al suo posto.
Se la nostra tendenza è avere delle responsabilità limitate, forse è opportuno evitare di intraprendere professioni che richiedono un coinvolgimento a tutto tondo.
Anche se il mondo del lavoro sta andando verso una progressiva flessibilità degli orari di lavoro, chi è dipendente si trova vincolato a un orario prestabilito, simbolicamente identificato con il classico cartellino da timbrare.
Per molti questo aspetto rappresenta una sicurezza, per altri un limite soffocante alla propria libertà. Appartenere a questa seconda categoria vuol dire essere nettamente propensi all’attività di lavoro autonoma.
Nella nostra scala di valutazione il criterio del guadagno è stato posizionato come ultimo da analizzare, per un motivo molto semplice. Il lavoratore che aspira a dei guadagni in costante crescita è – il più delle volte – una persona che non vuole limitare le proprie responsabilità lavorative. Quindi non si pone limiti di orari né di possibilità di crescita. È in definitiva, un lavoratore autonomo.
Il lavoro perfetto forse non esiste, ma le scelte personali possono orientarsi verso quello che più si avvicina alla professione ideale. Salvo ipotesi eccezionali, la maggior parte della vita si svolge sul luogo di lavoro: per questo è importante assecondare le proprie attitudini e aspirazioni, anche se richiedono qualche sacrificio in più.
Sentirsi a proprio agio nell’esercitare una professione e scegliere il lavoro più consono alle nostre attitudini sono tra le più grandi soddisfazioni che possiamo avere nella vita. Il senso di frustrazione e di fallimento che deriva dall’intraprendere scelte lavorative sbagliate può minare a fondo la nostra serenità, anche al di fuori dell’ambiente professionale.
Mascia Galluzzo
Consulente di gestione delle imprese